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lunedì 4 settembre 2017

L'Europa, l'immigrazione e noi / 3^ parte



Il cristiano in politica. Alcune considerazioni.
 
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Cristo Re.
A volte, mi è capitato, leggendo sul web qui e là, di trovare articoli e post molto critici nei confronti di un certo modo di essere Chiesa oggi: ecclesiastici, teologi e semplici fedeli sembrano aver perso l'orientamento, confusi fra le varie proposte del mondo contemporaneo (non sempre in linea con quello che dovrebbe essere il sentire autentico del cattolico) e l'esigenza, reale e urgente, dell'esercizio della misericordia e dell'incontro, una misericordia, però, che, come ci insegna la Scrittura, dovrebbe essere accompagnata dalla verità (Sal. 84-85, 11). Ed è qui che, sempre e continuamente, ritorna la domanda di Pilato: "Che cos'è la verità?".
Certo, Pilato la verità (che era, poi, anche e soprattutto, "la Verità", quella con la maiuscola) l'aveva davanti: per lui la verità era che al suo cospetto e al suo giudizio era stato condotto l'Innocente per antonomasia. Aveva lui intuito qualcosa di quel misterioso Imputato? Molti scrittori si sono lasciati affascinare da quell'episodio evangelico e ne hanno enunciato la possibilità. Ma, a distanza di più di duemila anni, non è possibile dire senza fantasticare un pochino. Il dato reale, il dato sicuro, è che il procuratore romano aveva capito che quell'uomo, di cui si chiedeva la morte per mezzo del sistema più infamante e terribile, quello della crocifissione, era innocente, ma si piegò alla volontà del Sinedrio e del popolo solo per paura; per paura e per un ignobile ricatto: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare" (Gv. 19, 12).
Che cosa vorrei dire con questo discorso, che, apparentemente, non c'entra niente né con l'Europa né con l'immigrazione? Vorrei richiamare l'attenzione sulla "verità" e su ciò che credo – come cristiano – essere verità.
Raffaello Sanzio. Platone e Aristotele. Particolare della "Scuola di Atene". Stanze vaticane.
Le religioni e le filosofie di ogni tempo hanno sempre cercato di esaminare a fondo questo problema. L'Antichità, dopo aver raggiunto i sublimi vertici della ricerca di una verità assoluta, uguale per tutti e – udite, udite! – situata in qualche spazio celeste (trascendente?) con Platone e Aristotele, ha prodotto quell'autentico aborto della ragione che è lo Scetticismo, una scuola di pensiero che portò con sé la novità che non era possibile per l'uomo né asserire riguardo al reale e al vero né negare e che, quindi, bisognava arrivare alla conclusione che meglio era starsene zitti. E questo dopo che altri avevano, in qualche modo, chiamato "verità" o la ricerca del piacere o il raggiungimento di uno stato di apatia dopo aver capito che, nell'Universo, è un continuo morire e rigenerarsi esattamente come nella vita precedente, apatia che contemplava, persino, la rimozione delle passioni e dei sentimenti. Passioni e sentimenti che, in qualche modo, il Cristianesimo mette al centro della sua "riflessione" (sia per accettarle come positivi e virtuosi sia per respingerli come peccati o fonte di peccato). Dio, infatti, è Amore (1Gv. 4, 16), anzi di più, è Comunione che genera amore (lo Spirito Santo, la terza Persona della SS. Trinità, nato dalla comunione d'amore del Padre e del Figlio). È Gesù stesso che ci rivela l'ineffabile mistero della sua intima unione con il Padre ("Io e il Padre siamo una cosa sola"; Gv. 10, 30); ed è Gesù stesso che desidera che i suoi discepoli imitino questa unità (Gv. 17, 20-21, "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te…"). Ma il fine dell'unità dei discepoli di Gesù è uno solo: "perché il mondo creda… (Ibidem). E qui sta l'incaglio, perché, dal mio punto di vista, due domande sorgono spontanee: 1) il mondo è disposto a credere? 2) l'unità dei cristiani, la nostra unità – anche riferendoci soltanto a quella di noi cattolici, in quanto risulta chiaro che, se parlassimo di ecumenismo, davvero non la finiremmo più –, è ancora funzionale alla diffusione della Fede?
Il discorso si fa lungo e complicato e, forse, sarebbe necessario l'aiuto di un teologo. Non intendo, però, andare così in profondità; mi fermerò soltanto alle cose comuni che sono sotto gli occhi di tutti.
   Ciò da cui vorrei cominciare è il posto che oggi occupano i cattolici nella politica. Papa Francesco, riprendendo una frase del Beato Papa Paolo VI, ha ribadito l'opportunità per il cristiano di far politica in quanto l'occuparsi del bene comune è la forma più alta di carità. Recentemente, il 4 agosto, il quotidiano d'opinione cattolico online "La Nuova Bussola Quotidiana" riportava un intervento del giornalista Stefano Fontana su un'intervista di Repubblica al nuovo Presidente della CEI Gualtiero Bassetti (Titolo dell'articolo: Nuova politica? Sì, ma qual è l'obiettivo?). Se l'assunto principale del cardinale (cioè la necessità della presenza dei cattolici in politica) mi trova del tutto d'accordo, devo dire che questo articolo, la totalità della realtà in cui viviamo e che vediamo tutti i giorni e, devo riconoscere, la mia formazione di cattolico ormai tendenzialmente "d'altri tempi" (qualcuno direbbe "tradizionalista" o addirittura "fondamentalista") mi portano a dubitare sulla "qualità" che avrebbero questi cattolici e sul reale tipo di politica che porterebbero avanti. Nel Vangelo, il vecchio Simeone dice di Gesù che sarà "Luce per illuminare le genti e Gloria del suo popolo Israele", ma anche "Segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti". E fu il Redentore stesso ad autodefinirsi "Luce del mondo". In Lui, però, anche noi siamo "luce del mondo (e "sale della terra")".
Non so voi, ma io noto uno stretto legame fra la profezia di Simeone e l'autodefinizione dello stesso Gesù. E, se, in Cristo, anche noi siamo luce e alter Christus (Tertulliano), non è profondamente vero che dovremmo essere anche noi "luce" e "gloria" per gli altri e chiedere che si faccia non quanto detto dal mondo, ma quanto detto dal Salvatore del mondo? – CONTINUA

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